Bollettino storico piacentino. Notiziario dall'Archivio di Stato

BSP 2/2017

Il servizio civile e l’Archivio di Stato di Piacenza

Il Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo ha finalmente avviato il massiccio impiego dei giovani, tra i 18 e i 28 anni, che  chiedono  l’ammissione  al  Servizio civile nazionale e nei mesi scorsi è stato bandito il progetto 1000 Giovani Mibact per impiegare mille di loro in 116 progetti presso gli istituti del Ministero. Le sedi individuate sono 320 su tutto il territorio nazionale e comprendono Archivi, Biblioteche, Musei. Tra le sedi accreditate per il progetto Cultura Giovani Emilia-Romagna Archivi, relativo a sei Archivi di Stato dell’Emilia-Romagna, c’è l’Archivio di Stato di Piacenza,  per attività di valorizzazione incentrate sull’incremento dell’offerta archivistica e bibliografica, con particolare attenzione ai materiali relativi alla prima Guerra mondiale di cui ricorre il centenario; all’Archivio sono stati assegnati tre giovani.

L’esperienza si è subito dimostrata una bellissima opportunità per l’Istituto, che ha ospitato elementi pieni di entusiasmo e di volontà di apprendere; essi, in base al loro curriculum di studi e ai loro interessi, da settembre hanno incominciato a lavorare su diversi fondi archivistici – Comitati Pallastrelli, Collegio dei notai, Distretto militare –,  per inventariarli e realizzare degli strumenti di corredo nei primi due casi e per implementare una banca dati nel terzo.

Per giovani interessati alle sorti del patrimonio culturale locale, alla sua tutela, alla sua conoscenza  e  alla  sua  fruizione,  è  l’occasione  di  poter  sperimentare  con  profitto  le  proprie  qualità  e  attitudini  svolgendo  un  servizio  a  vantaggio  della  Nazione;  per   i funzionari dell’Istituto, invece, rappresenta un’autentica pratica maieutica, il miglior modo di trasmettere le proprie competenze e di ravvivare un lavoro quotidiano spesso offuscato da incombenze superflue o fuorvianti.

Nel 2018 dovrebbe avviarsi un nuovo bando con le medesime caratteristiche del precedente. (Gian Paolo Bulla)


 Tesi di laurea di interesse piacentino

 – Barbara Aurora, Musica e nobiltà: il fondo Salvatico della biblioteca del Conservatorio di Piacenza, Università degli Studi di Parma, Corso di Laurea in Lettere, Dipartimento    di Lettere, arti, storia e società, a.a. 2015-16, rel. Prof. Paolo Russo.

Il lavoro indaga, attraverso il fondo della biblioteca del Conservatorio «Giuseppe Nicolini» e le carte della famiglia Salvatico dell’Archivio di Stato di Piacenza, le tipologie e le caratteristiche della sensibilità e della pratica musicale a Piacenza all’inizio dell’Ottocento; in particolare l’attenzione dell’A. si focalizza sulle figure di Odoardo, Giuseppe e Pietro Salvatico, possessori ed esecutori di un significativo gruppo di spartiti musicali che sono la spia del gusto musicale della nobiltà piacentina, con autori come Giuseppe Alinovi, Angelo M. Benincori, Paolo Bonfichi, Moisè Borsani, Luigi Cherubini, Carlo Ferrari, Adalbert Gyrowft, Franz H. Haydn, Giuseppe Saverio Mercadante, Wolfang A. Mozart, Gioachino Rossini, Alfonso Savi ecc. Si tratta soprattutto di musica colta, influenzata dal gusto francese e improntata alla laicità; sono infatti assenti musiche religiose o che rimandano a pratiche ecclesiastiche, che pure non furono estranee ai tre fratelli. La tesi è divisa in tre capitoli: il primo – Piacenza tra Settecento e Ottocento – dà conto dell’ambiente storico, culturale e sociale della Piacenza di inizio  Ottocento,  nel quale furono attivi diversi componenti della famiglia Salvatico, tra i quali spiccano in ambito culturale Pietro, fra l’altro direttore della Biblioteca Comunale «Passerini-Landi», e Giuseppe; il secondo – I conti Salvatico: ricchezza, prestigio, potere e decadenza – affronta le vicende degli ultimi discendenti, Odoardo, Giuseppe e Pietro, con particolare attenzione al loro interesse per la musica; il terzo capitolo, infine – Il fondo Salvatico –, fornisce un’attenta analisi dei manoscritti musicali della famiglia Salvatico, depositati nella biblioteca del Conservatorio dalla Biblioteca comunale, dopo la morte di  Pietro (1879).

Il fondo è attualmente conservato in due faldoni ed è costituito da 104 unità. L’A. fornisce l’inventario dei materiali in forma di schede analitiche che registrano, oltre al titolo, l’autore, le sezioni, gli organici, la descrizione fisica del manoscritto e  infine  il campo note dove trovano posto tutte le informazioni non incluse nei campi precedenti,  come ad esempio lo stato di conservazione del manoscritto o il copista. L’appendice documentaria fornisce fotografie di numerosi spartiti. (Anna Riva)


Necrologi

 Carmen Artocchini

 Il 10 dicembre 2016, all’età di 91 anni, è scomparsa Carmen Artocchini.

Nata il 10 giugno 1925 nel quartiere popolare del Cantone del Pozzo, dopo il diploma magistrale studiò alla Facoltà di Magistero di Torino, laureandosi in Materie letterarie con  una tesi su Federico II di Svevia. Insegnò italiano e storia per molti  anni,  trentadue  dei  quali all’Istituto Tecnico Romagnosi, ove trasmise a generazioni di studenti anche  la passione per la storia delle tradizioni. Per dieci anni, dal 1966 al 1976, fu assistente volontaria    di Paleografia e Diplomatica alla Facoltà di Magistero  dell’Università  di Parma.  Iniziò,  fin da giovane, a  svolgere  un’intensa  attività  di  divulgazione  culturale,  mediante  conferenze in varie sedi e lezioni nelle scuole e collaborando alle pagine culturali di quotidiani e periodici. Nel 1954 iniziò il rapporto con il quotidiano «Libertà», del quale fu per  decenni assidua collaboratrice, e cominciò a pubblicare contributi anche sul «Bollettino storico piacentino», del quale fu direttore responsabile dal 1972 al 1986. Sulla rivista fondata da Stefano Fermi pubblicò saggi che riflettono i suoi variegati interessi, dalle tradizioni folcloriste alla storia della comunità ebraica, dalla ricostruzione del ruolo delle donne nella Resistenza alla lettura di aspetti della religiosità popolare attraverso i sinodi diocesani postridentini. Socia attiva della Deputazione di storia patria, dai primi anni Sessanta fino  agli anni Duemila pubblicò sull’«Archivio storico delle province parmensi» una ventina di contributi, alcuni dei quali dedicati alla presentazione di archivi da  lei  frequentati  come quelli Doria Pamphili di Roma e Moreau de Saint Mery della Palatina di Parma.

La professoressa Artocchini spaziò largamente –  attraverso  un  articolato  intreccio fra fonti orali e fonti scritte – in  molti  campi  della  storia  culturale  piacentina,  ma  i suoi interessi di studio e di ricerca furono indirizzati prevalentemente alle tradizioni, dell’enogastronomia, alla storia delle donne, ambiti che, a poco a poco, furono scoperti  e abbracciati e che nel corso della sua attività divennero pietre angolari delle sue ri-  cerche. Del 1971 è Il folclore piacentino: tradizioni, vita e arti popolari (ed. Utep), tema, quello del folclore, che sarà poi costantemente ripreso e ampliato fino alla pubblicazio- ne dell’opera, in quattro tomi, delle Tradizioni popolari piacentine (Tep, 1999-2006). Nel 1967 pubblicò, assieme a Serafino Maggi, I Castelli del piacentino nella storia e nella leggenda (Utep), mentre dieci anni dopo arrivò un’altra opera fondamentale, 400 ricette della cucina piacentina (Stabilimento tipografico piacentino), che conobbe più ristampe negli anni successivi e anche successivi approfondimenti (Piacenza a tavola, Tip.Le.Co., 2005, e Le ricette di Natale, Tip.Le.Co., 2007).

Negli anni Settanta pubblicò Le padrone di Parma e Piacenza (Stp, 1975)  e,  assieme a Fausto Fiorentini, La medicina a Piacenza tra scienza e superstizione (Tip.Le.Co., 1979), a cui seguì l’anno successivo Storie di maghi, di donne belle, di bambini furbi, di animali parlanti (Stp, 1980), scritto con Dora Eusebietti. L’attenzione  per l’arte artigiana  la portò a pubblicare Il ferro battuto nel piacentino (Grafiche Lama, 1995). Fu collaboratrice della Storia di Piacenza, in  particolare  dei  volumi  dedicati  all’Ottocento (Cassa di Risparmio di Piacenza, 1980) e al Novecento (Tip.Le.Co., 2002), nei quali approfondì i temi dedicati all’agricoltura e soprattutto alle vie di comunicazione, quest’ultimo già affrontato nell’opera L’uomo cammina: sulle vie del piacentino dalla preistoria ad oggi (Camera di commercio di Piacenza, 1973). Collaborò attivamente anche alle diverse  edizioni del Dizionario biografico piacentino realizzato dalla Banca di Piacenza e ha con- tinuato a pubblicare diversi articoli, anche in tempi recenti, su «Piacenza economica», la rivista della Camera di Commercio di Piacenza, e sull’«Urtiga. Quaderni di cultura piacentina». La professoressa Artocchini è stata una studiosa fervida e paziente, di lei restano opere numerose e importanti, e una singolare lezione di passione per la storia della sua terra. (Daniela Morsia)

Giorgio Fiori

Scomparso il 2 giugno 2017, Giorgio Fiori era nato a Piacenza il 1° settembre del    1939 da antica famiglia originaria della Val Versa. Dopo la formazione classica al Liceo Gioia, si laureò in Economia e  Commercio  all’Università  di  Pescara,  discutendo  una  tesi su Paesaggio agrario e tecniche agricole nei feudi e nelle proprietà della famiglia dei conti Nicelli di Piacenza (1650-1815), e conseguì il diploma in Paleografia, Diplomatica  e Archivistica presso l’Archivio di Stato di Parma.

Le sue pubblicazioni – oltre duecento tra monografie  e  articoli  –  riguardano  la  storia delle famiglie nobili dell’area di Piacenza e di Bobbio, con particolare attenzione all’aspetto genealogico, la storia dell’architettura urbana e i legami di artisti, anche ‘minori’, con la nostra città.

L’interesse di Fiori per la genealogia risale agli anni liceali; nel periodo universitario egli continuò a coltivarlo, affinandolo grazie alla guida e ai consigli di Emilio Nasalli  Rocca, e anche dopo la laurea e gli inizi dell’attività lavorativa alla Cassa di Risparmio proseguì ad approfondire le sue ricerche, estendendole dagli archivi parrocchiali al Fondo Notarile presso l’Archivio di Stato di Piacenza.

In tal modo egli riuscì a condurre un buon numero di indagini  specifiche  sulle  famiglie appartenenti al ceto nobiliare piacentino e bobbiese (senza trascurare altre  borgate della provincia), che andò via via pubblicando sul quotidiano locale, su questo

«Bollettino», sull’«Archivio Storico» parmense e persino sulla «Rivista araldica».

Approfondendo poi gli studi di carattere genealogico e prosopografico, pur senza tralasciare le predilette ricerche di genealogia gentilizia, rivolse la sua attenzione alle vicende biografiche degli artisti piacentini (Arbotori, Boselli, Panini…) e operanti a Pia- cenza (Ceruti, Caffi…). Nella piena maturità i suoi interessi scientifici, pur mantenendo  il taglio che gli era proprio, quindi saldamente fondati sulla ricerca erudita, spaziarono in molteplici settori della storia locale, rivolgendosi anche alle vicende urbanistiche di Piacenza, che rimase costantemente il fulcro dei suoi interessi di studioso.

Per segnalare soltanto alcune delle sue opere più significative, nel 1979 fu tra  i curatori de Le antiche famiglie di Piacenza e i loro stemmi (Tep), ancor oggi testo di riferimento, per cui condusse lo spoglio sistematico degli archivi parrocchiali e redasse   una parte cospicua delle schede; nel 1995 pubblicò una monografia su  I  Malaspina:  castelli e feudi nell’Oltrepò piacentino, pavese, tortonese, nella quale ricostruì le vicende della grande famiglia obertenga; del 1999 è uno studio sul Monte di Pietà di Piacenza e gli altri Monti di Pietà del Piacentino.

Utilizzando l’enorme mole di  notizie  che  era  andato  accumulando  in  vari  decenni di frequentazione degli archivi ecclesiastici e del Notarile,  dati  archivistici  che  venivano annotati sulle agendine che le banche usavano distribuire ai clienti e che egli scherzosamente denominava i  suoi  ‘calepini’  (ed  erano  svariare  decine),  egli  produsse la monumentale opera su Il centro storico di Piacenza: palazzi, case, monumenti civili e religiosi (6 volumi, Tep, 2005-2008), un unicum tra le recenti opere descrittive delle città italiane, grazie all’esatta e documentata individuazione, strada per strada, delle vicende costruttive non solo dei principali palazzi, ma di ogni singolo edificio.

Si cimentò anche con l’histoire événementielle, elaborando la parte propriamente storico-politica del quarto e del sesto volume della Storia di Piacenza (Dai Farnese ai Borboni e Il Novecento, Tip.Le.Co., 1998 e 2002), e infine concluse la sua vasta attività storiografica pubblicando, nel 2015, la Storia di Bobbio e delle famiglie bobbiesi (Lir).

Un’ultima notazione è doveroso aggiungere: egli fu generoso dispensatore, a studiosi    e amici che a lui si rivolgevano, delle ‘scoperte’ archivistiche che andava facendo, anche se erano inedite e da lui non ancora utilizzate in pubblicazioni. Questo suo tratto personale è certamente non comune e attesta un interesse per la storia che non aveva nulla  di egoistico, ma era una sorta di culto per il passato di Piacenza e della prediletta Bobbio; pur essendo uno spirito laico, coltivava una sorta di ‘pietas’ per il suolo natio. (D.)